Quinto capitolo della franchise horror più longeva ed eterodossa di sempre. Per l'approdo su console di 7° generazione la Atari ex-Infogrames rispolvera lo stesso identico nome del capostipite, a sedici anni di distanza, senza computazione o sottotitoli di sorta (anche se pubblico e critica, per comodità, tendono a riferirsi al gioco chiamandolo
Alone in the Dark 5).
L'opera si presenta come una sorta di seguito dei primi tre titoli della serie (il discutibile
reboot
del 2001,
Alone in the Dark: The New Nightmare,
viene bypassato e riposto nel dimenticatoio) con l'immancabile detective dell'occulto Edward Carnby nel ruolo di protagonista. La curiosa circostanza che
AITD5
sia ambientato nel 2008 mentre i capitoli precedenti erano radicati nella prima metà del '900 trova nel corso della vicenda una sbrigativa giustificazione, comunque lascia immediatamente intendere che tra i giochi "vecchi" e quello nuovo esiste pochissimo in comune all'infuori di un debole legame ipertestuale. In
Alone in the Dark 5
Carnby sfoggia un look 'moderno' a base di jeans e giubbotto e agisce, oscillando tra seriosa pensosità e modi da duro disincantato, nella città di New York, per la precisione a Central Park sulle cui leggende urbane è ricamata buona parte della trama. L'insieme ostenta un tono pomposo e apocalittico su cui si innesta un gameplay fin troppo variegato, a volte in stile
Resident Evil 4
(seppur con possibilità di scelta tra Prima e Terza Persona), altre con elementi da
survival adventure che ricordano
Zettai Zetsumei Toshi
(vd.
SOS The Final Escape e
Raw Danger)
, altre volte ancora con sequenze che paiono selezionate a caso, solo in virtù della pura spettacolarità (tipo la corsa in automobile).
Preceduto da un notevole hype, il risultato finale lascia perplessi sia il pubblico che la critica. Quest'ultima punzecchia soprattutto le magagne tecniche e l'apparato ludico, giudicato irrisolto e confusionario. Curiosamente nessuno centra il cuore del problema, e cioè che dal punto di vista
strutturale il titolo è un macello!
Alone in the Dark 5
è il classico gioco di cui si può affermare senza timore di smentite che i singoli elementi valgono più dell'insieme per l'eccellente ragione che un "insieme" proprio non esiste!
Qualsiasi
aspetto dell'opera venga preso in considerazione -che si tratti dell'iconografia o dell'apparato ludico, delle atmosfere o dell'intreccio narrativo, della psicologia dei personaggi o del
graphic engine- questo si rivela incostante e del tutto privo di coerenza. La Eden Games ha realizzato dal punto di vista tecnico un lavoro apprezzabile, anche se altalenante, soprattutto è riuscita a conferire al titolo un ritmo abbastanza regolare, ma il
contenuto sconfigge sonoramente qualsiasi tentativo di padroneggiarlo e di inquadrarlo in una prospettiva unitaria, perché è materiale che si sfalda da sé.
A voler essere benevoli, ogni categoria di player è in grado di trovare nel gioco qualcosa capace di far vibrare le sue corde emotive: gli appassionati di racing, per esempio, ameranno la corsa in automobile attraverso una New York divorata dalle crepe, i patiti di horror apprezzeranno le angoscianti atmosfere nella stanza 943 del Metropolitan Museum, gli amanti dell'azione pura e dello
shooting
si divertiranno a sparare proiettili infuocati contro i mostri... Le opportunità possono essere dozzine. Ma il gioco non è un tutt'uno, è un'accozzaglia di frammenti assortiti, più o meno brillanti, tenuti insieme con lo sputo. Sforzarsi di unificarli equivale a stringere una manciata di sabbia: quanto più si serra il pugno, tanto più i granelli sfuggono tra le dita.
Trama:
Qui si espone la trama contenuta nelle versioni PC, Xbox 360 e PlayStation 3. Le versioni PlayStation 2 e Wii narrano una storia diversa, più breve e anche più fiacca.
La vicenda è suddivisa in otto episodi di impostazione pseudo-televisiva. Ogni episodio si apre col riassunto della puntata precedente e si conclude col trailer di quella seguente. Il menu in stile DVD permette, volendo, di utilizzare il "fast forward" e di saltare le sequenze di gioco in modo da visionare subito i filmati desiderati.
Tutto inizia in un palazzo nei pressi di Central Park, a New York, dove un Edward Carnby amnesiaco viene percosso da brutti ceffi che, oltre che con lui, se la prendono con un uomo anziano per costringerlo a consegnare loro 'qualcosa'. Grazie a un intervento soprannaturale -i cattivi vengono uccisi da crepe apparse dal nulla- Edward riesce a liberarsi, ma è appunto privo di memoria, neppure la sua immagine riflessa allo specchio (dove appare coi capelli grigi, le rughe e una vistosa cicatrice che gli sfregia mezzo volto) gli dice niente. Il palazzo in cui Edward era tenuto prigioniero viene progressivamente distrutto dalle mostruose crepe e Carnby riesce a scamparla solo per il rotto della cuffia. Con lui si salvano una ragazza tuttopepe di nome Sarah Flores e l'anziano Theophile Paddington, l'uomo che i cattivi stavano torturando. Purtroppo si salva anche Crowley, il capo dei cattivi.
Theophile lascia capire di conoscere bene Edward (che però non si ricorda di lui) e insiste nell'affermare che Carnby è l'unica speranza di salvezza del mondo. Disgraziatamente Theo, oltre che vecchio, è gravemente ferito per via delle percosse ricevute e gli strapazzi cui si ritrova sottoposto durante la fuga non gli giovano di certo. Come se non bastasse le misteriose "crepe" sembrano capaci di possedere le persone comuni, che si ritrovano trasformate in esseri bestiali assetati di sangue, vulnerabili soltanto al fuoco e al servizio di una malefica volontà esterna. Dopo numerose peripezie Edward e Sarah si ritrovano nel cuore di Central Park. Theophile invece non sopravvive, ma prima di spirare consegna all'amico un arcano amuleto con la raccomandazione di raggiungere la stanza 943 del Metropolitan Museum, dove molti misteri troveranno spiegazione. Sempre privo di memoria, Carnby scopre con sconcerto di essere in circolazione addirittura dal 1936 grazie a una vecchia fotografia che lo ritrae assieme a un giovanissimo Theophile, con la differenza rilevante che Theo è invecchiato normalmente nel corso degli anni mentre lui è rimasto identico, salvo per quanto riguarda la cicatrice. Le ultime parole di Theophile fanno inoltre accenno al "portatore di luce", Luci-Fero, l'essere che Edward dovrà fermare se vorrà salvare il mondo.
Grafica e gameplay:
Difficile esporre le caratteristiche salienti di un gameplay quanto mai dispersivo ed eterogeneo. Le varie situazioni ludiche appaiono semplicemente
accostate,
come se i programmatori non si fossero neppure preoccupati di provare ad amalgamarle. Ogni parvenza d’unità si disintegra e impedisce all’opera di essere qualcosa di più di una successione di sequenze interattive magari riuscite, ma isolate dal contesto.
A ogni modo, il gioco permette di scegliere tra Prima e Terza Persona, salvo all’atto di sparare (quando si usano armi da fuoco la Prima Persona diventa obbligatoria). Il movimento di Carnby e l’eventuale attacco con armi bianche sono assegnati alla stessa levetta, cosa invero non molto comoda. Il player oltre a pistola e proiettili può preparare e usare molotov. L’inventario coincide ‘realisticamente’ col giubbotto di Carnby. Il tutto risulta poco intuitivo, quindi il player deve farsi il callo attraverso numerose situazioni di gioco prima di riuscire a padroneggiare il personaggio nella maniera dovuta. La volontà di realizzare qualcosa di originale e inconsueto è evidente, anche se non ha dato i frutti sperati. Al di là dei combattimenti, il gioco ficca spesso Carnby (e il player) in situazione atipiche per un survival horror, tipo arrampicarsi su una corda lungo la facciata di un palazzo in fiamme oppure guidare a rotta di collo per strade dissestate.
La grafica è molto altalenante. A volte si dimostra all’altezza dei motori di 7° generazione, altre volte invece appare rozza e con un sistema di collisioni maldestro.
Affascinante la colonna sonora di Olivier Derivière (Obscure, Obscure II) che fa uso massiccio del coro femminile
The Mystery of Bulgarian Voices.
Purtroppo alla lunga l’insieme risulta ripetitivo e ridondante, schiacciato com’è dall’ossessione di conferire enfasi ed epicità a tutti i costi.
Analisi
La prima cosa che spicca in
Alone in the Dark 5
è la struttura narrativa a episodi, mutuata platealmente non dal cinema (come avviene nella pressoché totalità degli horror-games e dei giochi d'avventura in generale), ma dalla televisione. Non si tratta di una differenza di poco conto dato che la televisione, soprattutto quella recente, ha caratteristiche semiotiche molto diverse rispetto a cinema e teatro. Sostanzialmente in televisione manca la "festa" dello spettacolo, mentre è la "feria" a venire spettacolarizzata.
Per un'analisi approfondita sullo spettacolo audiovisivo come "festa" si raccomanda la lettura di
La conversazione audiovisiva
di Gianfranco Bettetini (ed. Bompiani). Qui è sufficiente dire che fin dalle origini la nozione di spettacolo si è perennemente accompagnata con quella di "festa". Sono sempre state le festività di calendario a scandire e motivare le occasioni per fare spettacolo; dalla civiltà greca a tutto il medioevo le rappresentazioni teatrali hanno preso le mosse prima dai riti dionisiaci e poi dalla liturgia cristiana (le Sacre Rappresentazioni). Col tempo lo spirito più strettamente religioso dello spettacolo si è perduto, ma è rimasta la peculiarità dell'evento speciale, dell'accadimento inconsueto, fosse pure un semplice concerto del sabato sera.
Da diversi anni a questa parte però la televisione ha cambiato le carte in tavola. Dalla tv sono spariti i generi: nello stesso calderone vengono buttati show, informazione, fiction, sport,
reality e quant'altro, tutti gli ingredienti fanno brodo e il risultato è un "pastone" indefinibile. Sono spariti i palinsesti: l'ordine dei programmi è suscettibile di cambiamenti e stravolgimenti in qualsiasi momento per ragioni di audience. E' sparito l'Immaginario collettivo: allo spettatore non resta che una confusa memoria a breve termine, facilmente rimpiazzabile programma dopo programma. E' sparita persino la volontà di
comunicare: la tv, un tempo autentico "mezzo di comunicazione di massa" (mass-medium, appunto), si è ridotta a megafono per diffondere urla e strepiti allo scopo di attirare in ogni maniera possibile l'attenzione. In breve, è sparita la "festa", gli spettacoli televisivi non hanno più alcun carattere di eccezionalità e si succedono, senza distinguersi sensibilmente l'uno dall'altro, in un flusso ininterrotto ventiquattr'ore su ventiquattro.
La festa in tv si è definitivamente secolarizzata ed è diventata "feria", tutto è spettacolo e il pastone è disponibile a ogni ora, con l'evidente limite che se "tutto" può essere spettacolo significa che
nulla lo è veramente. L'ossessione del divertimento costante ha distrutto ogni desiderio di rottura e trasformato gli show in banale routine. Peggio ancora, ha annichilito ogni istanza comunitaria, ogni possibilità di interscambio tra "soggetto enunciatore" (lo specifico programma) e "pubblico modello". Non c'è più vera comunicazione, quindi non c'è più nemmeno un vero pubblico, una collettività implicita. Lo spettatore magari si sforza di attribuire caratteristiche festive al proprio consumo personale di programmi, ma è l'equivalente della sbronza solitaria o del trip da overdose.
"I frammenti della mappa di Borges non servono a nessun procedimento di conoscenza e, anzi, intralciano la vita di ogni giorno, quella delle cose e dei rapporti diretti." (G. Bettetini,
La conversazione audiovisiva)
Come si incastra
Alone in the Dark 5
in questo discorso? Col fatto che l'opera finisce col desumere dalla televisione non solo l'impostazione narrativa a episodi, ma anche la pericolosissima tendenza a privilegiare lo spettacolo sempre e comunque, persino a discapito della propria struttura interna. L’universo dei videogiochi è pieno di titoli scombiccherati, ma nessuno più di Alone in the Dark 5 dà l'impressione di materiale
per principio
male abborracciato.
AITD5
non ha scheletro, non ha impalcatura, accosta alla rinfusa schegge ludiche ed elementi di qualsiasi tipo e natura all’insegna del “tutto fa brodo”. Il risultato è uno sbocco torrenziale di elementi quanto mai eterogenei senza soluzione di continuità, anche se nelle intenzioni degli autori "spettacolare". Ma naturalmente, proprio come nel caso dei programmi televisivi, se ogni cosa fa spettacolo significa che nulla lo fa davvero. Perciò
Alone in the Dark 5
stordisce, al limite rende euforici, ma non avvince né convince. E’ solo l’equivalente digitale della sbornia allegra.
Pomposo e tonitruante, ma inficiato alla radice da una trama tutto sommato banale che riserva poche sorprese, l’opera più che "comunicare" (giacché i videogiochi rimangono un
mass-medium,
anche se finalizzato soprattutto all’intrattenimento) si abbandona a un chiassoso frastuono che non significa granché. Inutile quindi cercare coerenza nei suoi reparti: l’engine
saltabecca da
location
molto rifinite ad altre che ricordano grumi di cartapesta; il protagonista pare in certi frangenti nato con la pistola in mano e in altri un emarginato confuso e sofferente; gli ingredienti orrorifici, che sulla carta potrebbero conferire all’insieme un’anima e una precisa personalità, sono ridotti a puro apparato scenografico. La score di Olivier Derivière costituisce il paradigma dei limiti di Alone in the Dark 5: in sé è tutt’altro che brutta, ma puntando esclusivamente sull'enfasi finisce con l’avere un suono cavo. Sotto lo spartito, niente.
Si percepisce l'intento sincero degli autori di superare le strettoie dell'horror per creare qualcosa di epico e solenne, capace di nobilitare la materia, ma proprio questo atteggiamento di supponenza nei confronti del genere, ritenuto evidentemente "minore" e troppo poco
mainstream, costituisce l'errore più grave. Ha dimenticato, l’Eden Games, che proprio in virtù della sua natura “di nicchia” l’horror è riuscito a passare indenne attraverso le stagioni, a differenza di altri generi un tempo popolarissimi, tipo il western e il musical, e oggidì completamente morti. L’horror ha personalità prepotente, a patto che rimanga se stesso, e per rimanere tale gli artefici devono deliberatamente “evitare di fare altro”. Quando invece gli elementi orrorifici vengono trasformati in scenografia e quinta teatrale, come avviene in
Alone in the Dark 5, l’horror smette di essere se stesso e diventa, appunto, “altro”. Ma in tale circostanza anche l’opera smarrisce la propria identità e si riduce a uno spettacolone tanto enfatico quanto vuoto. Tronfio.
Versioni
Le prime edizioni di
Alone in the Dark 5 sono quelle per PC e Xbox 360, che hanno goduto anche di una
Limited Edition con allegati DVD del
Making Of, colonna sonora, libro di illustrazioni e
action-figure
del protagonista. L’edizione PC è oggettivamente molto scomoda da giocare in certi frangenti, per via di una maldestra implementazione del mouse.
Le versioni Wii e PlayStation 2 possiedono una storia e un gameplay assai differenti. Evidentemente la Atari ha rinunciato in partenza all’idea di riprodurre pari pari un gioco di 7° generazione su console di capacità inferiore. Purtroppo sono versioni riuscite peggio, come la critica afferma all’unanimità.
La versione PlayStation 3 ribattezzata
Alone in the Dark: Inferno, più tarda, ha posto rimedio a diverse magagne rispetto ai giochi per PC e Xbox (es., grafica più curata e sistema di “telecamere” migliorato), ma è anche decisamente più facile e quindi meno ansiogena.
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- Microsoft Xbox 360 (2008)
- Limited Edition
per Microsoft Xbox 360 (2008)
- Windows PC (2008)
- Limited Edition
per Windows PC (2008)
- Nintendo Wii (2008)
- Sony PlayStation 2 (2008)
- Alone in the Dark: Inferno
per Sony PlayStation 3 (2008)
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Marco "Night Walker" Montericcio
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