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Id., Usa 2005
Software house: Monolith Productions / Day 1 Studios (conversione per Xbox 360 e PlayStation 3)
Publisher: Sierra Entertainment / Vivendi Universal

 

  First person shooter mainstream che coniuga furbescamente un gameplay derivativo e collaudato di stampo realistico a fremiti orrorifici tenuti al guinzaglio.
  Di fatto si tratta di un’opera saldamente ancorata alla formula dei FPS, con ingredienti ben dosati in modo da soddisfare il maggior numero possibile di palati. Gli amanti dello shooting dal taglio militareggiante hanno pane a volontà per i loro denti, mentre gli appassionati di atmosfere macabre-ma-non-troppo (altrimenti l’utente medio si potrebbe spaventare!) possono crogiolarsi tra ambienti in penombra, squarci di terrore più suggerito che mostrato, qualche fiotto di sangue.

F.E.A.R. (acronimo di
First Encounter Assault Recon, titolo tanto pomposo quanto generico) é prima di ogni altra cosa un’astuta operazione commerciale. I creativi della Monolith, in altre circostanze più personali e incisivi (vd. Aliens vs Predator 2 e Condemned), per il loro maggiore successo si sono limitati ad aggiungere pochi spunti originali a una formula ben oliata. Protagonista é il classico supersoldato silente alle prese con militari altrettanto classici agli ordini di un megalomane; l’unico autentico tocco innovativo é il ‘superpotere’ del protagonista, lo SloMo, cioé la capacità di muoversi più rapidamente degli avversari.
Anche il plot é abbastanza di maniera, ammicca all’horror ma badando a smorzare i toni in modo da non andare oltre una trattenuta suspense.
Del resto il ‘motore dell’orrore’ di
F.E.A.R. é talmente modaiolo da risultare quasi rassicurante, si tratta della ragazzina spettrale nerocrinita (il cosiddetto yorei) impostasi nell’immaginario con film di successo quali Ringue Dark Water di Hideo Nakata.
  Eppure, nonostante l’istintiva antipatia suscitata dall'assenza di spontaneità, il prodotto finale funziona. Merito della confezione impeccabile e della realizzazione tecnica di alto livello, o forse di un plot coinvolgente anche se facilino, oppure della sceneggiatura involuta (tipica di Monolith) in cui persino i buchi narrativi contribuiscono all’alone di mistero, oppure ancora della geometrica tensione capace di suscitare disagio anche quando ci si muove in banalissimi uffici appena caratterizzati da un po’ di penombra. Certamente
F.E.A.R. deluderà i patiti delle emozioni forti, ma tutti gli altri vi troveranno qualità che non faranno loro rimpiangere il tempo speso giocando.

   Trama  

   Nell’ambito di un progetto militare governativo, che punta a sfruttare eserciti di soldati Replicanti agli ordini di un leader telepatico, qualcosa va storto. Il comandante designato Paxton Fettel, contattato dallo spettro di una bambina con vestito rosso e capelli neri, impazzisce e prende il controllo di un intero battaglione per scopi personali. Il compito di fermarlo é assegnato all’unità speciale F.E.A.R. (First Encounter Assault Recon), addestrata appositamente per affrontare le minacce paranormali. Della squadra fa parte anche il protagonista impersonato dal player (che, come avviene spesso nei FPS, non ha nome né volto - il gioco lo definisce Pointman, “apripista”).
  Grazie a una trasmittente nel corpo di Fettel la squadra F.E.A.R. riesce a grandi linee a seguire gli spostamenti del nemico, ma senza molti risultati. Fettel addirittura tende un’imboscata a Pointman per poi confidargli di voler uccidere tutte le persone coinvolte in un antico Progetto denominato “Origin”, all’origine della creazione sua e dei Replicanti. Fettel vuole anche “liberare” a ogni costo Alma, la bambina che lo ha contattato.

Pointman segue le tracce di Fettel nella città semi-abbandonata di Auburn e in altri luoghi più o meno deserti, fino alla Armacham Technology Corporation, multinazionale che a suo tempo elaborò il misterioso Progetto Origin. Nel corso della caccia il protagonista deve affrontare continuamente e in solitudine (gli altri membri di F.E.A.R. si limitano a un ruolo di supporto oppure svaniscono senza spiegazioni) le agguerrite truppe di soldati Replicanti. Per fortuna Pointman é dotato del potere innato di muoversi a velocità sovrumana per periodi limitati di tempo, ma questo potere sembra renderlo vulnerabile anche agli influssi telepatici di Alma che occasionalmente lo investono con terribili allucinazioni. Alla fine dell’avventura le rivelazioni saranno sconvolgenti.


 
  Grafica e gameplay:

  (Quasi) niente di nuovo sotto il sole. F.E.A.R. segue fin troppo pedissequamente le linee guida dei FPS moderni, badando a non deviare dal solco tracciato da titoli apripista come 007 GoldenEye e Half-Life.  Si affrontano quindi nemici intelligenti più o meno realistici in ambienti moderni e angusti che richiedono un approccio oculato.
  Gli elementi nuovi si possono contare su una mano e avanzerebbero ancora delle dita. C’è l’obbligo di non portare più di tre armi per volta (ma già nel fantascientifico
Halo il limite era di due), c’è un uso diversificato delle granate, c’è l’enorme Intelligenza Artificiale dei nemici, soprattutto c’è lo SloMo (slow-motion), potere che conferisce al protagonista una velocità sovrannaturale per un tempo limitato (l’effetto é reso sullo schermo facendo muovere gli avversari al ralenti). Per il resto, ordinaria amministrazione.
  I tragitti sono estremamente lineari e purtroppo ripetitivi. La scelta dei programmatori di ambientare le vicende sempre di notte e di immergere ogni cosa nella penombra favorisce l’atmosfera, ma non la varietà e alla lunga rende l’esperienza un po’ tediosa. Ogni tanto si aprono sul buio lampi di genuino spavento, tuttavia l’impatto orrorifico é volutamente tenuto a freno dai programmatori per non turbare le aspettative del pubblico mainstream.

  Analisi:

 
F.E.A.R. é un’opera così spudoratamente derivativa e ruffiana che, se non fosse stata realizzata da Monolith, meriterebbe la stroncatura già solo per la spocchia. Per fortuna i programmatori della software-house sanno il fatto loro e anche quando sono alle prese con cliché di seconda o terza mano (come in questo caso) riescono a infondere quel tocco di personalità capace di rendere il prodotto finale più coinvolgente ed efficace della media.
  Sia chiaro che non c'è traccia di reale innovazione.
F.E.A.R. non si sogna nemmeno di rinunciare ai cliché, né li stravolge in una sorta di destrutturazione post-moderna, tuttavia ha almeno il merito di non accettarli supinamente. Li manipola in maniera tale che gli archetipi, pur restando ben riconoscibili, assumano una coloritura inedita. E' un procedimento dalle ambizioni tipicamente mainstream e che in questa circostanza raggiunge una delle sue realizzazioni migliori. I player tradizionalisti ritrovano modelli ludico-narrativi familiari e rassicuranti, mentre i patiti delle novità scoprono rivisitazioni sufficientemente ispirate da assaporare un gusto nuovo anche se ricetta e ingredienti restano piuttosto usurati.
  L'esempio più palese è dato dal personaggio di Alma. Costei é una rielaborazione dello
yorei, lo spettro femminile vendicativo dai lunghi capelli neri tipico dell’immaginario giapponese e affermatosi in occidente grazie a film come Ringu (1998) e Dark Water (2002) (volendo spaccare il capello in quattro, l’icona della bambina-fantasma malefica va fatta risalire probabilmente all’italianissimo Toby Dammit di Fellini [episodio di Tre passi nel delirio, 1968] ma questa non é la sede idonea per fare filologia cinematografica). Insomma Alma è, parlando senza peli sulla lingua, uno stereotipo ammiccante alla moda, però alla resa dei conti finisce col trascendere le fonti da cui deriva fino ad assumere una caratterizzazione del tutto autonoma. I mirabili poteri della bambina, infatti, hanno origine tecnologica e non soprannaturale. Può sembrare una differenza di poco conto ma non lo è, anche perché la vera origine di Alma si accompagna alla "teoria del complotto" assai familiare ai patiti di mystery occidentale. E' come assistere a un episodio di X-Files condito con salsa orientale, oppure a una storia di fantasmi giapponesi composti da geni manipolati alla Frankenstein anziché da ectoplasmi. I cliché restano tali e mantengono la loro riconoscibilità, ma sono rivitalizzati in modo da diventare, se non proprio 'nuovi', perlomeno seminuovi. Comunque intriganti.
  Il procedimento di rivitalizzazione degli stereotipi investe anche il gameplay. Il gioco ripete più volte fino alla nausea che l'obiettivo fondamentale è uccidere Paxton Fettel, tanto che il player si aspetta inevitabilmente una resa dei conti vecchio stile, ovvero una boss-battle con tutti i crismi. Ebbene, al momento stabilito la boss-battle avviene, ma non è affatto 'con tutti i crismi'. Anzi, il suo svolgimento è quanto di più spiazzante si possa concepire, al tempo stesso climax e anti-climax. Ancora una volta Monolith gioca a mischiare gli opposti e trova la maniera di quadrare il cerchio magnificando un cliché altrimenti logoro fino al midollo (infatti le boss-battle appartengono alla preistoria dei FPS e i titoli più moderni e innovativi, come
Half-Life, non ne contengono).
  Lo stesso personaggio principale, l'apripista Pointman, è un cliché che mescola vecchiume e modernità. Nella prima metà del gioco sembra il tipico militare anonimo alla
Doom (non ha nome, non parla mai, è in pratica un'incarnazione del Bene Assoluto che combatte contro un Male altrettanto Assoluto), mentre nella seconda metà assume vesti sempre più caratterizzate, tanto che a un certo punto sembra trasformarsi nel vero perno narrativo, come accade a Gordon Freeman in Half-Life. Vecchio o nuovo, dunque? Entrambe le cose, perché Pointman è sì anonimo, privo di passato, storia e memoria, ma la sua caratterizzazione consiste proprio in questo: è la mancanza di identità a conferirgli un'identità. Le rivelazioni finali ruotano tutte attorno all'anonimità di Pointman e non potrebbero ottenere lo stesso sconvolgente effetto se il personaggio nella prima parte del gioco fosse stato caratterizzato in maniera più incisiva.
  Ma se il procedimento di amalgamare ingredienti disomogenei, addirittura opposti, per infondere nuova vita agli archetipi può dirsi riuscito, cosa dire della componente che più ci sta a cuore, quella puramente orrorifica? Invero
F.E.A.R. smorza perennemente i toni horror, non fa uso di sequenze shock e preferisce immergere l'intero gioco in una diffusa suspense, più o meno trattenuta, limitandosi a esplodere occasionalmente in qualche scena ad effetto. Il sangue c'è, ma riempie al massimo un paio di catini. Se da un lato bisogna riconoscere a Monolith di non aver seguito la strada più facile (basta poco a far saltare dalla sedia con un BUH improvviso, molto più complicato è costruire la tensione in maniera geometrica e inesorabile), dall'altro bisogna ammettere che il gioco alla lunga può annoiare. La penombra perenne conferisce atmosfera ma anche ripetitività, così come gli scenari iterati più e più volte con minime variazioni. Gli amanti del terrore puro 'grondante dalle fottute pareti' di Aliens vs Predator 2 e Condemned rischiano seriamente di restare a bocca amara, però chi preferisce inquietudini più sottili non ha di che lamentarsi. L'horror è una casa con numerose stanze.
  Va infine detto che la sceneggiatura é involuta e contorta, ma mentre in altre opere Monolith ciò aveva appesantito il plot (vd.
Condemned), in F.E.A.R.. i buchi narrativi costituiscono paradossalmente un vantaggio. Infatti in un contesto sostanzialmente realistico (i nemici sono soldati umani anche se clonati e la matrice degli orrori é tecnologica) la persistenza di dubbi inspiegabili e di domande senza risposta contribuisce a insufflare suspense e a rendere l’atmosfera ancor più tesa. La paura si alimenta anche con enigmi e misteri irrisolti.

   Versioni

  Il gioco é per PC, Xbox 360 e PlayStation 3. Le versioni sono di qualità diseguale, la migliore resta quella per PC che, oltre a offrire la resa grafica migliore ed effetti gore superiori, contiene alcuni interessanti extra: documentario dietro le quinte, video commentato dagli sviluppatori e filmato live-action. L’Elite Edition comprende inoltre un albo a fumetti realizzato in America dalla Dark Horse.
  Sempre per PC, in tempi più recenti sono state diffuse riedizioni che includono anche le successive espansioni realizzate da Sierra/Vivendi (ma non da Monolith).

  La versione 360 é di buona qualità, solo con una texture grafica meno dettagliata. Anche le occasionali esplosioni di sangue sono contenute, ma scaricando gratuitamente una patch é possibile ricreare gli effetti originali. Come extra sono presenti una modalità simil-arcade (combattimenti avulsi dalla storia originale) denominata Azione Immediata e una missione-bonus.
  La versione PS3 é certamente la meno riuscita del lotto. La grafica é di qualità assai modesta e i tempi di caricamento considerevolmente lunghi. Stessi extra della versione 360.

  Il sequel apocrifo é F.E.A.R. Extraction Point.
  Lo spin-off (pure apocrifo) é
F.E.A.R. Perseus Mandate.
  Il sequel ufficiale (firmato Monolith) é
Project Origin.

  • Windows PC (2006)
  • Elite Edition per Windows PC (2006)
  • Microsoft Xbox 360 (2006)
  • Sony PlayStation 3 (2007)
  • cofanetto  F.E.A.R. Gold Ultimate per Windows PC, contenente F.E.A.R. e l'espansione F.E.A.R. Extraction Point (2007)
  • edizione F.E.A.R. Ultimate per Windows PC, contenente F.E.A.R., l'espansione F.E.A.R. Extraction Point e l'espansione stand alone F.E.A.R. Perseus Mandate (2007)

    Marco "Night Walker" Montericcio