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Zettai Zetsumei Toshi, Giappone 2002
Software house: Irem Software
Publisher: Agetec
Survival adventure che, a voler essere pignoli, con l’horror propriamente detto ha poco a che spartire. In effetti si tratta di un videogioco di argomento “catastrofico”, quello che in ambito cinematografico viene familiarmente chiamato disaster film. L’inclusione dell’opera nel presente dizionario dipende dal fatto che il suo gameplay prende a modello proprio i survival canonici, facendo quindi rientrare il gioco nella categoria dei sotto-Residentevil, con annessa dose di spaventi.In termini semplicistici, SOS The Final Escape é un videogame dove angoscia e paura non sono provocati da creature mostruose, bensì da catastrofi naturali tipo scosse di terremoto e crolli di palazzi. Un titolo anomalo, dunque, realizzato da una software house di secondo livello, ma sufficientemente imparentato coi survival horror grazie al gameplay da meritarsi l’attenzione dei fans del brivido. Purtroppo la buona componente interattiva non é supportata da una grafica all’altezza (che nel genere catastrofico ha importanza non secondaria), perciò il titolo non riesce a elevarsi oltre la soglia della serie B. Comunque interessante.
Nella versione originale i personaggi sono
giapponesi, qui si fa uso dei nomi anglofoni utilizzati nelle versioni estere.
Il gameplay é tipicamente residenteviliano, solo che il protagonista anziché combattere contro mostri deve sopravvivere a improvvise scosse telluriche e crolli subitanei di palazzi ed elementi urbani (tutti dovuti a una programmazione prestabilita, non generati casualmente).
La grafica, purtroppo, lascia abbastanza a desiderare. Case e palazzi sono realizzati sommariamente e spesso ricordano più anonimi scatoloni che altro, anche se il grigiore dilagante mette in maggior risalto i personaggi, unici tocchi di colore. E’ possibile che questa scelta estetica abbia pure un valore simbolico (i personaggi, per quanto dimessi e inermi, sono gli unici esseri visivamente caratterizzati, e dunque ‘vivi’, in mezzo al grigiume dilagante), tuttavia una maggior cura nella realizzazione degli ambienti avrebbe giovato, anche perché il ritmo é sostenuto ma classico e quindi facile preda di momenti di stanca. Colonna sonora assolutamente minimalista: solo qualche frangente é dotato di score musicale, per il resto domina il silenzio con pochi fruscii di fondo, quasi a rafforzare il senso di desolazione. Analisi: Benché i film catastrofici nascano già nella preistoria del cinema (uno dei primi, Fire!, é addirittura del 1901) e se ne trovino esemplari in tutto il periodo del muto e oltre (si pensi alle numerose versioni di Titanic e de Gli ultimi giorni di Pompei), é negli anni ‘70 che il genere conosce il suo boom e si assesta sulle coordinate iconografiche apocalittico-urbane con cui oggidì gli spettatori sono abituati a riconoscerlo. Ciononostante resta un genere atipico, molto meno formalizzato rispetto a western, noir, melò, fantascienza e horror.![]() Pletorico nelle trame e nei personaggi, il disaster film ha ambizioni spettacolari ed epiche superiori alla media (e superiori sono i fallimenti), ma tende inesorabilmente a banalizzare la materia trattata. Per di più il suo schematizzare non deriva da una tipizzazione che gli é propria in quanto “genere” oppure da modalità narrative già stabilite, ma da necessità tecniche esterne: budget, durata, effetti speciali, numero delle comparse. Quelle stesse caratteristiche tecniche, peraltro, spesso forniscono ai singoli film un barlume di identità: più sono costosi e visivamente affascinanti, più spiccano sulla massa. Di solito i movie catastrofici migliori sono quelli che non si limitano a imbastire un puerile spettacolone basato su una trama altrettanto puerile culminante nello scontato trionfo dell’eroe e della sua donna e nella condanna dei personaggi negativi, al limite col dazio della dipartita di qualche ‘simpatico’ personaggio secondario. Tra gli esempi più interessanti si segnala L'’avventura del Poseidon di Ronald Neame e Irwin Allen (The Poseidon Adventure, 1972), inquietante messa in scena di un universo ‘capovolto’ (il transatlantico rovesciato) in cui finiscono sovvertite anche le certezze dei personaggi (il prete che si auto-immola in una sorta di sacrificio pagano) e quelle degli spettatori (sono i personaggi ‘antipatici’ a salvarsi, mentre quelli più accattivanti muoiono inesorabilmente). Altro film degno di nota é il Titanic di James Cameron (1997), che rinuncia del tutto alla stereotipata struttura corale per focalizzarsi su una storia d’amore dallo svolgimento e dalla conclusione nient’affatto banali, con l’inserimento di elementi politico-sociologici (l’opposizione tra Prima Classe e Terza Classe pare riproporre il contrasto alto/basso, suolo/sottosuolo di Fritz Lang e del suo Metropolis). ![]() Arriviamo così a SOS The Final Escape. Quando la Irem Software sforna nel 2002 il suo personale Titanic interattivo mette piede in un territorio sorprendentemente vergine. Prima di quel momento infatti non esistevano esempi di videogiochi che riproducessero, in una qualsiasi misura, le coordinate tipiche del genere catastrofico, al limite il disastro costituiva solo uno dei tanti elementi della trama ma non rappresentava il body videoludico vero e proprio. La realizzazione di Zettai Zetsumei Toshi (questo il titolo originale) aveva quindi imposto ai creativi anche l’ideazione di un gameplay idoneo come problema logico da impostare e risolvere, cosa non facile in un contesto abitualmente poco formalizzato. Il risultato finale é un semi-ricalco delle caratteristiche dei survival horror più tipici, in primis Resident Evil. I ‘disastri’ in pratica rimpiazzano i mostri: il player ha come ‘nemici’ scosse di terremoto e crolli repentini che, ovviamente, non possono essere affrontati mediante armi ma facendo del proprio meglio per restare incolumi ed evitare agilmente il pericolo. Anche quando nella seconda parte del gioco entrano in ballo avversari armati il character principale resta inerme e deve ingegnarsi a trovare vie di fuga senza mai combattere, per non parlare dell’arsura che trasforma il bisogno d’acqua in autentica ossessione. L'insieme é sufficientemente variegato e sostenuto da mantenere tensione e ansia su discreti livelli, tuttavia i vistosi limiti di budget impongono in più di una circostanza una certa benevolenza da parte del player. L’impianto grafico risulta terribilmente poveristico anche se funzionale, con palazzi diroccati troppo somiglianti a enormi scatoloni di cartapesta (per di più senza cadaveri in vista, forse per non incorrere nelle riprovazioni della censura). Del resto difficilmente si poteva ottenere di più da una software house di secondo piano che ha tra le sue impronte stilistiche la ristrettezza di fondi. Può sembrare snob valutare un’opera più sul fattore ‘estetico’ che non sulla bontà delle idee o sulla componente interattiva, ma ciò é intrinseco al genere stesso. L’abbiamo detto: quando si ha a che fare con l’argomento “catastrofico” le necessità tecniche esterne -in questo caso il budget e la grafica- finiscono col condizionare pesantemente la resa qualitativa del titolo e il giudizio finale. SOS The Final Escape é un titolo di serie B che, a differenza degli horror ‘puri’ della stessa categoria, non può venire riscattato in virtù delle sole idee e dell’impianto ludico. La limitata spettacolarità pesa come un macigno. ![]() Purtroppo non c’é traccia di sottotesto, tipo gli accenni di sociologia del film di Cameron. SOS si accontenta di alternare intimismo e scene spettacolari, come nei disaster film più ortodossi. La Irem Software si sforza di aggiungere polpa con la sottotrama dell’indagine investigativa sulle cause della catastrofe, ma così non fa che aggiungere a un soggetto abbastanza risaputo il logoro armamentario di ‘potenti che complottano’, già visto e stravisto in centinaia di film e giochi (al solito, il genere catastrofico tende a schematizzare e a depotenziare), anche se la buona caratterizzazione dei personaggi riabilita in parte la cosa. Interessante la scelta visiva di contrapporre i coloratissimi personaggi positivi (tripudio di biondo, rosa, rosso e azzurro) a quelli negativi gelidamente paludati di grigio, affini agli ostili casermoni pericolanti, quasi fossero fatti della stessa pasta, immagini di un Male dilagante che assume le forme cineree di una distruzione incomprensibile, senza precisa ragion d'essere. Nel complesso il titolo ha sufficienti idee da suscitare l’interesse di ogni patito di adventure games, e la realizzazione tecnica del gameplay, con buoni tocchi d’originalità, non può non solleticare la curiosità degli habitué di survival horror. Resta però un’opera fortemente condizionata dall’appartenenza alla serie B, troppo poco visualmente spettacolare (come invece il genere imporrebbe) perché qua e là non facciano capolino noia e sopore. Il seguito, con scarsi punti di contatto, é Raw Danger. Versioni: ![]()
Il gioco é solo per PlayStation 2.
- Sony PlayStation 2 (2003)
Marco "Night Walker" Montericcio
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