*  JeMM Edizioni -  Via E. Barigozzi 2, 20138 MILANO  *




 

Id., Usa 2009
Software house: Rebellion Developments
Publisher: Eidos Interactive
Capo programmatore: Stuart Middleton
Capo progettista: Keith Ledger
Capo grafico: Daryl Clewlow
Produttori: John Walsh, Sean Griffiths



  Tremendo first person shooter che tenta goffamente di coniugare atmosfere e gameplay realistici da "guerra vera" (quella del Vietnam, con la giungla cambogiana come location dominante) con l'horror exploitativo a base di pseudo-zombie affamati di carne umana e abominevoli esperimenti compiuti da militari senza scrupoli.
  L'idea di partenza era intrigante e sostanzialmente inedita nel contesto degli sparatutto in prima persona (soltanto il mini-scenario zombesco
"Nacht der Untoten" contenuto in Call of Duty: World at War di Treyarch/Activision è anteriore di un soffio) ma il risultato finale si è rivelato a dir poco sconcertante. Senza peli sulla lingua, Shellshock 2 è un sottoprodotto di indicibile e imperdonabile sciatteria, caratterizzato da grafica e design che paiono ricalcati su FPS vecchi di almeno sei anni -come dire preistoria!-, trama pretestuosa e risibile, legnosità esasperante nel gameplay, dialoghi demenziali declamati con la massima seriosità e Intelligenza Artificiale ai minimi storici. A tutto questo si aggiunge l'aggravante che la software house Rebellion (responsabile nel ’99 del mitico Aliens vesus Predator, ora ombra di se stessa) e il publisher Eidos non sono certo i figli della serva, obbligati a fare miracoli con budget da barzelletta, perciò la modestia totale in ogni reparto non è da imputare a carenza di mezzi ma a pura e semplice cialtronaggine.
Ciononostante, impregnato com'è da un
flavour grezzissimo da filmaccio di serie Z, Shellshock 2 finisce coll'intrattenere a tratti in maniera irresistibile proprio in virtù della sua spavalda grossolanità e quindi si ritrova catapultato a pieni voti nella categoria so bad it's good, "così brutto da diventare (quasi) bello". Va da sé che l'insieme provoca assai più sghignazzi che brividi di terrore o altro.
Dal punto di vista anagrafico, l'opera è il seguito (solo nominale) di
Shellshock: Nam '67, realizzato nel 2004 da Guerrilla Games e diffuso sempre da Eidos, un modesto sparatutto in terza persona sulla guerra vietnamita senza alcun elemento horror.


 

   Trama:

  Vietnam 1969. Il giovane soldato Nathaniel "Nate" Walker, arruolato a forza, è appena giunto in una cittadella poco distante dalla zona calda del fronte. Qui è ricoverato suo fratello, il sergente Calvin "Cal" Walker, eroe decorato ora apparentemente impazzito per colpa di un virus sconosciuto. Diversi giorni prima un aereo americano con a bordo un carico top-secret chiamato "Whiteknight" era precipitato nella giungla cambogiana e Cal si trovava a capo della squadra militare inviata per recuperarlo. Ma qualcosa è andato storto: i dettagli restano ignoti, l'unica cosa certa è che l'intera squadra è stata sterminata, salvo Cal tornato alla base ferito, contagiato e preda di una furibonda pazzia. Alla vista del fratello Nate, Cal sembra per un attimo tranquillizzarsi, ma un improvviso attacco nemico gli permette di scappare e far perdere le sue tracce. Sopravvissuto a stento, Nate viene trascinato nella giungla a caccia del fuggitivo dal sergente Griffin, un militare fanatico al limite della psicosi. Nate ha di tanto in tanto allucinazioni in cui gli sembra di vedere attraverso gli occhi del fratello, sempre più folle e sempre più assetato di sangue. A peggiorare le cose, il morbo che infetta Cal si va propagando a macchia d'olio e un comandante vietcong, Trang, è alle calcagna di Nate per estorcergli -con le buone o preferibilmente con le cattive- informazioni su Whiteknight di cui ritiene il giovane soldato sia a conoscenza.  

  Grafica e gameplay:

  (S)parlare di grafica e gameplay di Shellshock 2 è come fare tirassegno su una Croce Rossa senza gomme né motore! L'unica accusa che l'opera riesce a evitare è quella di plagio: per "plagiare" uno specifico genere bisogna tallonarlo da vicino e fargli sentire il fiato sul collo, Shellshock 2 invece esce talmente fuori tempo massimo da apparire un patetico residuato (bellico, è proprio il caso di dirlo).
  La grafica generata dall'Asura Engine ricalca senza ritegno i modelli di sei anni prima, l'epoca in cui il Vietnam era appunto molto gettonato, e messa a confronto con quella dei coevi CryEngine 2
(Crysis) e Unreal Engine 3 (Bioshock, Gears of War) non può che sprofondare per la vergogna. I marine di Shellshock 2, tanto per dirne una, hanno la buffa abitudine di correre a gambe larghe, con un notevole effetto comico non si sa quanto volontario. I volti di personaggi e zombie, poi, riciclano a più non posso i soliti tre o quattro model  senza variazioni di rilievo. Difficile prendere sul serio un gioco di 7° generazione dove facce ed espressioni si ripetono platealmente più che in un'opera pop di Andy Warhol!
Cittadelle, accampamenti e gallerie sono fin troppo lineari e pieni di inutili vicoli ciechi, buttati giù alla buona per dare una parvenza di complessità alle mappe. Persino la giungla è lineare quanto un gomitolo srotolato, come se
Far Cry (2004!) e la sua guerriglia in foreste liberamente esplorabili non fossero mai esistiti. Il gameplay obbliga il giocatore a trasportare un massimo di tre armi, il che non è un male a priori (vedi F.E.AR.), ma lo diventa se delle tre armi in questione due si rivelano assolutamente inutili. Machete e pistola, infatti, sono poco più che accessori decorativi, solo M-16 e AK-47 hanno un minimo di senso - e non c'è il fucile da cecchino!
  Le uniche concessioni alla modernità si possono rintracciare nell'assenza di barra di energia (la perdita di vitalità è esplicitata mediante il progressivo oscuramento dello schermo) e in occasionali
Quick Time Event dove per sopravvivere bisogna premere precise sequenze di tasti. Peccato che l'idea sia totalmente sgraffignata alla saga di Call of Duty...
 
L'ultimo chiodo nella bara è piantato dal multiplayer, che in Shellshock 2 risulta del tutto assente! Peccato gravissimo per un FPS breve e dal respiro quanto mai corto.
  Uno spiraglio di luce? Si salva il comparto sonoro, con rumori ed effetti adeguati alla bisogna. Anche il doppiaggio, stranamente stroncato da molta critica specializzata, è più che apprezzabile. Di certo nel corso della compilazione di questa enciclopedia ci è capitato di ascoltare di molto, molto peggio...
 

   Analisi

   In ambito cinematografico il Vietnam-movie costituisce un filone fortemente radicato nella sua epoca, gli anni '80 del reaganismo imperante caratterizzati da una vitalità sfrenata (anche se ingenua e facilona), dall'esaltazione del liberismo economico, dallo yuppismo, nonché dalla volontà di riscrivere la storia recente in chiave pro-americana, quasi in reazione ai movimenti sessantottini di contestazione politica e autocritica che avevano segnato il decennio precedente. Con premesse del genere si comprende facilmente come Hollywood, sempre lesta ad adeguarsi ai gusti del grande pubblico, non abbia esitato a riabilitare una guerra oggettivamente brutta sporca e cattiva come quella del Vietnam finendo persino coll'alterare i fatti e ripetere ossessivamente in una sorta di mantra, film dopo film, che in fondo l'America quella guerra non l'aveva persa veramente. D'altra parte Hollywood, anche quando si sforza di rispettare la realtà storica, ha un tocco opposto a quello di Mida: tutto ciò che tocca diventa falso. E come insegna Gabriel Garcia Marquez, la vera Storia non è quella vissuta ma quella ricordata e che si sceglie di far ricordare.
  La "riabilitazione" è pressoché generale. Anche non volendo considerare gli ovvi
Rambo1 & 2 stalloniani e i Missing in Action con Chuck Norris, pure i film che criticano senza esitazione e risparmio l'intervento americano, come Apocalypse Now di Francis Ford Coppola e Platoon di Oliver Stone, finiscono in virtù della loro spettacolarità coll'attribuire una patente glamour a quella che invece fu la guerra "sporca" per eccellenza. In ogni caso il reduce, anche se perdente e fallito, è sempre visto da una prospettiva melodrammatica che immancabilmente lo eroicizza, con gioia del pubblico pagante.
  Gli '80 sono anche gli anni della riscoperta della fisicità. Il vitalismo diffuso esalta il corpo umano ben scolpito, sia maschile che femminile, sommando glamour al glamour (sul bagnato, si sa, piove spesso e volentieri). Non a caso l'icona persistente del "rambismo" è un uomo a torso nudo con bicipiti in evidenza e arma da fuoco sproporzionata tra le braccia. Del resto gli '80 sono pure gli anni dell'altrettanto muscolare filone
sword-&-sorcery (Conan il Barbaro ed emuli), e persino un'opera ferocemente anti-reaganiana e manifesto della controcultura come 1997: Fuga da New York di John Carpenter deve buona parte della sua fama al virile personaggio di Snake/Jena Plissken, con l'epidermide tappezzata di tatuaggi.
  Tra i
mass-media di intrattenimento, causa limiti tecnologici, solo i videogiochi non si adeguano al trend dominante. Salvo occasionali esperimenti poco riusciti, come Lost Patrol di Shadow Development (1990; per DOS, Amiga e Atari-ST), oggi simpaticamente datati, negli '80 il Vietnam è incapace di ritagliarsi uno spazio specifico su PC e console: hardware e software sono ancora troppo grezzi., e nei successivi anni '90 (clintoniani) il filone, ormai esausto, verrà sbrigativamente riposto in un cantuccio dell'Immaginario collettivo.
  Proprio in territorio videoludico il genere ha un colpo di reni dopo il 2000, nell'era di Bush jr., unanimemente considerata una propaggine del reaganismo. Il mondo post-11 Settembre, però, ha del tutto smarrito il vitalismo ottimista e ingenuo di vent'anni prima. Anche il miraggio del liberismo economico autosufficiente si dissolverà di lì a poco. Nel frattempo l'America, scopertasi vulnerabile in casa propria, si è incattivita e tende a crogiolarsi in un misto di pessimismo cronico e aggressività. I Vietnam-games che prolificano nel 2003 e 2004 risultano perciò privi di spirito
camp e simpatico esibizionismo muscolare, preferendo porre l'accento su crudezze e violenza sfrenata spacciata per realismo. Inoltre, come avviene nel cinema coevo, a livello drammaturgico la conflittualità psicologica non si manifesta tra "americani" e "nemici" ma all'interno di un'unica parte in causa, quella americana per l'appunto. I nemici sono bollati a priori come alieni (nella sostanza se non nella forma) con cui l'ostilità è inevitabile e qualsiasi scambio comunicativo impossibile, quindi per vivacizzare le trame non resta che puntare sui conflitti interni: reclute contro superiori, soldati compassionevoli contro commilitoni spietati... I vari Vietcong, Battlefield Vietnam, Conflict Vietnam, Men of Valor e Wings Over Vietnam sono perciò videogiochi molto aspri dove il protagonista è un sopravvissuto senza aloni eroici costretto a sguazzare nella turpitudine. Certamente alcuni titoli appaiono migliori di altri; l'incisivo e accurato Vietcong, per esempio, vale molto di più del puerile Shellshock: Nam '67, dove ogni occasione è buona per raffigurare i Viet come esseri abominevoli interessati solo a depredare poveri contadini o a mutilare e crocifiggere soldati americani catturati. In ogni caso il revival ha vita breve e dopo il boom del 2004 si assottiglia rapidamente fino a svanire. Gli appassionati di FPS realistici trovano pane migliore per i loro denti con la saga di Call of Duty, incentrata sulla assai più accattivante (perché "giusta") Seconda Guerra Mondiale, forte anche di una realizzazione tecnica senza pari e di una ricostruzione di atmosfere e locazioni d'epoca più accurata che in un documentario.
 
Shellshock 2 si rivela dunque un (sotto)prodotto talmente in ritardo sui tempi da suscitare financo tenerezza. Quando poi si scopre che il gioco è realizzato con principi e grafica ultra-datati, nonché scarsissima perizia tecnica, la tenerezza sfuma in ilarità. Risulta aggiornato solo il linguaggio, che contiene molto più turpiloquio di una volta, ma nel contesto grossolanamente trash l'unico risultato è richiamare alla memoria le commediacce italiane sulle Sturmtruppen! Anche il minestrone di guerra realistica e orrore è meno originale di quanto sembra. In fondo Shellshock 2 si accoda all'andazzo del cinema hollywoodiuano più recente che, in cronica crisi di idee, tenta di mantenersi a galla mescolando alla meno peggio generi differenti, come avviene anche in film mainstream tipo The Passion e Apocalypto di Mel Gibson o 300 di Zack Snyder, assai più truculenti di parecchi horror "canonici".
  Eppure, nonostante la palese e imperdonabile sciatteria,
Shellshock 2 risulta un titolo abbastanza divertente, se preso per il verso giusto. Il suo insieme richiama alla memoria un particolare sottofilone dei Vietnam-movie, quello italiano realizzato nel 1980-89 da artigiani del "cinema di genere" per le platee terzomondiste che non potevano permettersi l'acquisto dei prodotti hollywoodiani, i parti di registi come Antonio Margheriti, Fabrizio De Angelis e soprattutto Bruno Mattei.
  Un'analisi dei Viet-film all'amatriciana risulta purtroppo ardua e difficile, mancando tuttora in Italia studi critici seri. A parte sporadici articoli della rivista
Nocturno (fondamentale per la riscoperta e la rivalutazione del cinema di genere), va segnalata l'ottima tesi di laurea Vietnam-movie Made in Italy dell'autore noto con lo pseudonimo IoCaligola, reperibile anche sul web (http://www.filmbrutti.com/articles.php). Comunque basti sapere che, rispetto a generi ormai ampiamente riabilitati come lo spaghetti-western, il giallo-movie e il poliziottesco, i Viet-film all'italiana sono molto meno caratterizzati e personali, prodotti proni alle leggi di mercato e fin troppo conformi all'estetica dei vari Rambo, fermi restando i limiti di budget e tutto quel che ne consegue. Il principale esponente degno di segnalazione è Apocalypse Domani (1980) di Anthony M. Dawson, a.k.a. Antonio Margheriti, con cui Shellshock 2 sembra avere molti punti in comune. Il film infatti tratta di un gruppo di reduci del Vietnam preda di una malattia (la cui natura è imprecisata e la cui valenza è soprattutto metaforica) che li trasforma in dropout bramosi di carne umana.
 
Apocalypse Domani condivide con Shellshock 2 il tema del pasto cannibalico e del virus 'zombizzante' (a dir la verità in ambo le opere gli antropofagi non sono autentici zombie visto che non sono morti, però ci vanno vicino), ma le affinità terminano qui. L'opera di Margheriti possiede una dignità poetica e artistica che a Shellshock 2 manca del tutto. Margheriti, artigiano sensibile, utilizza il reduce vietnamita come metafora dell'emarginato cannibalizzato dalla società che reagisce cannibalizzando i suoi simili, non si limita a farne un banale pretesto per exploitation a base di sangue e frattaglie.
  Per trovare film affini "spiritualmente" a
Shellshock 2 conviene guardare soprattutto a Bruno Mattei (1931-2007), uno dei più prolifici registi italiani di genere. Mattei ha la peculiarità di ignorare i riscontri con la realtà per guardare esclusivamente al cinema, ovvero i suoi punti di riferimento non sono una "poetica" pari all'ironia pessimista di Margheriti oppure i documentari o gli archivi giornalistici, ma semplicemente i film già realizzati. "Un cinema che conosce solo il cinema. O meglio, un cinema che guarda al mondo attraverso il cinema." (IoCaligola, Vietnam-movie Made in Italy) Si comprende perciò facilmente come i principali Vietnam-movie di Mattei, Strike Commando (1987) e Double Target (id.), siano niente più che una rimasticatura di stereotipi, con personaggi da fumetto in azione su trame realizzate col copia e incolla da Rambo 2. Il meglio di Mattei si trova in film la cui natura di bric-à-brac si esprime in mosaici allucinati che fanno pensare a uno Hieronymus Bosch post-moderno all'opera con la pellicola anziché coi pennelli. E' il caso di Virus - L'inferno dei morti viventi (1980), crudo zombie-movie che sprigiona una rozza ma profonda energia espressionista e ostenta un fascino visuale lisergico, dove tutto -dai violentissimi e coloratissimi spappolamenti di corpi umani agli inserti documentaristici, la cui pellicola sgranata non si amalgama affatto col resto- contribuisce ad affrescare una tavolozza irresistibile.
 
Shellshock 2 è probabilmente quel che Bruno Mattei avrebbe partorito se si fosse dedicato ai videogiochi anziché al cinema, una specie di "Strike Commando incontra Virus". Usando una parafrasi, è un videogioco che ha come unico modello i videogiochi che l'hanno preceduto, un videogioco che conosce solo i videogiochi e che guarda al mondo attraverso i videogiochi. In quest'ottica si giustifica persino il fatto che la grafica ricalchi opere vecchie di sei anni (appunto, i videogiochi), in quanto Shellshock 2 sembra voler riprodurre non il vero Vietnam, ma il suo selvaggio "doppio" icastico ormai codificato e impresso nell'Immaginario. Anche gli pseudo-zombie sembrano provenire un po' da Resident Evil 4 e un po' da Left 4 Dead (ancora, i videogiochi) insieme alle corse sfrenate e agli attacchi bestiali dei loro predecessori. Il gioco in sé non ha molto senso né coerenza narrativa, ma a ben vedere non si preoccupa neppure di cercarli, il suo unico scopo è mettere insieme il maggior numero possibile di pittoreschi lacerti per dare vita a qualcosa di totalmente sfrenato. E pazienza se i vari tasselli non quagliano e provengono visibilmente da mosaici diversissimi! Ne guadagna la bizzarria, l'energia espressiva, il fascino ammaliante dell'assurdo. Si spiega quindi l'apparizione a un terzo del gioco di una soldatessa americana dalle tette enormi con abiti che concedono ben poco all'immaginazione: in un war-game realistico la cosa non avrebbe senso e verrebbe liquidata dal player come pura e semplice idiozia, invece in quel minestrone che è Shellshock 2 è tutto grasso che cola. In quest'ottica persino le ruberie assumono valore di pregio: i Quick Time Event (scopiazzati da Call of Duty) dove il protagonista si sbarazza del Viet di turno che urla "Ho Chi Miiiinh!" urlando a sua volta "Vaffanculo!" prima di segargli le canne della gola col machete sono così sfrenatamente demenziali da risultare irresistibili.
  Intendiamoci, il gioco è e resta trash, e richiede una particolare predisposizione d'animo per essere apprezzato. Chi concepisce l'horror come qualcosa di serio e vorrebbe un
war-game dove l'autentico realismo militare si sposi a dovere con i brividi più terrificanti farebbe bene a buttarsi su Call of Duty: World at War (qui non recensito perché orrorifico solo in piccola parte) e sui suoi mini-scenari "Nacht der Untoten" e "Zombie Verruckt". Tutti gli altri sghignazzino pure con Shellshock 2, magari insieme a una lattina di birra, rutto libero e qualche amico ben disposto, dopo aver spedito il cervello in animazione sospesa.

Versioni

  Il gioco è per Xbox 360, PlayStation 3 e PC. Non si segnalano differenze di rilievo tra le diverse versioni. Curiosamente manca una modalità multiplayer, di norma sempre presente in questo genere di first person shooter.

        


- Microsoft Xbox 360 (2009)

- Windows PC (2009)

- Sony PlayStation 3 (2009)

  Marco "Night Walker" Montericcio                  

      

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