*  JeMM Edizioni -  Via E. Barigozzi 2, 20138 MILANO  *




 

 

Id., Giappone 2004
Software house: Team Silent (Konami)
Publisher: Konami
Designer: Suguru Murakoshi
Compositore: Akira Yamaoka


 
 

  Forse il più sottovalutato survival horror di 6° generazione.
  Al quarto capitolo della franchise, il Team Silent fa
tabula (semi) rasa degli stereotipi della serie per dare vita a qualcosa di autenticamente spiazzante, fertilizzato con le ceneri dei più logori topoi survivalistici. Il nuovo parto é una sintesi (hegeliana, verrebbe da dire) di plurime esperienze del passato e al contempo un corpo estraneo difficile da classificare.
  Ricco di idee e spunti innovativi,
Silent Hill 4 anticipa temi e peculiarità ludiche a cui avrebbero attinto dozzine di videogiochi futuri. Purtroppo é anche abbondantemente frainteso dal grande pubblico e da parte della critica, che lanciatisi in sterili confronti con Silent Hill 2 rimproverano al nuovo arrivato di non "commuovere" quanto l'illustre predecessore, di avere personaggi dalla psicologia superficiale, di rinunciare a elementi di gameplay presunti intoccabili come la torcia e la radio (che pure ormai mostravano la corda)... Si é dimenticata, la critica, che gli elementi di gameplay dovrebbero porsi al servizio del sistema ludico e non il contrario (per usare una metafora evangelica, "é il sabato fatto per l'uomo, non l'uomo per il sabato"). Dal punto di vista narrativo, invece, non si é tenuto conto che in Silent Hill 2 a mediare era il melodramma, il quale sosteneva una concezione del tutto tradizionale di 'intreccio' e 'personaggi' costruiti secondo canoni romanticheggianti (leggi: characters privilegiati con cui empatizzare e che seguono i dettami del sentimento anziché della ragione, come nel più canonico dei feuilleton). The Room rifiuta l'estetica e la mediazione del melodramma per guardare a opere più arty e sperimentali tipo, nel cinema, i film horror giapponesi basati su nemesi sfuggenti, spazi vuoti e ombre perturbanti. Tra i titoli occidentali le maggiori (benché probabilmente inconsce) affinità si potrebbero trovare in cult movie ‘maledetti’ come Nekromantik di Jörg Buttgereit (1987) e Aftermath di Nacho Cerdà (1994), accomunati dal tema delle perversioni erotiche in un contesto mortifero e soprattutto dalla ricerca di sottolineature emotive e visuali nel totale disinteresse per trama e psicologismi standard.

  Silent Hill 4 resta in particolare uno dei pochissimi survival capaci di demolire i dettami ludico/narrativi ipercodificati col primo Resident Evil (1996) e poi diventati prassi rigida per tutti gli horror in terza persona. Si affianca perciò a Forbidden Siren, Illbleed e Resident Evil 4 con cui costituisce un ideale "quadrilatero dell'innovazione". Imprescindibile, checché ne dicano i detrattori.


   Trama:

   Silent Hill 4 non ha punti di contatto narrativi con gli altri capitoli della saga. C'é solo un tenue legame ipertestuale con Silent Hill 2.
  Nel condominio di South Ashfield Heights, in una cittadina non lontana dalla famigerata Silent Hill, l’inquilino dell’appartamento 302 Henry Townshend da alcuni giorni vive una situazione ai confini della realtà. La porta del monolocale é sigillata all’interno da pesanti catene collocate chissà come da chissà chi, e ora Henry é prigioniero in casa propria dato che nemmeno le finestre si aprono e se grida nessuno lo sente.
  La sua vicina, la graziosa Eileen Galvin dell’appartamento 303, sembra l’unica persona del palazzo a intuire che qualcosa non va.
  Improvvisamente nel bagno di Henry si apre un buco che conduce tramite un tunnel a una metropolitana in rovina. Henry vi incontra una sperduta ragazza provocante, Cynthia, con cui perlustra il luogo che si rivelerà pieno di spettri persecutori e mostri grotteschi. Cynthia viene uccisa da un assassino ignoto che le incide il numero 16121 sul corpo. Subito dopo Henry si risveglia nell’appartamento.
  Attraverso il buco l’uomo raggiunge altri luoghi ("Mondi"), tutti distorti e afflitti da una sorta di decomposizione ante-mortem: una Foresta con al centro una casa sigillata; una Prigione costruita sul modello del Panopticon; un Palazzo dalla planimetria assurda fatta solo di scale e corridoi labirintici...
  Grazie al buco Henry può tornare ogni tanto nell’appartamento 302, dove ha modo di spiare tramite una frattura nel muro la vicina Eileen.
   La situazione precipita quando l'uomo raggiunge un luogo quasi identico (ma marcio fin nelle fondamenta) al condominio di South Ashfield Heights. Nonostante tutto, Henry riuscirà a farsi un'idea più precisa della situazione grazie al reperimento di appunti lasciati dal precedente inquilino del monolocale 302, scomparso da tempo…

 

  Grafica e gameplay:

  

   Non si riconoscono precedenti specifici al tipo di gameplay di Silent Hill 4, che pesca dal passato solo per eseguire una rielaborazione personalissima con risultati decisamente originali. La pluralità delle fonti é metabolizzata in maniera stilisticamente omogenea, anziché in un confuso pastiche. Il gioco ha una struttura non lineare in cui l'esplorazione dell'appartamento 302 si alterna a quella dei Mondi; le diverse locations sono poste in contatto tramite misteriosi buchi nei muri. Nel monolocale la visuale é sempre in prima persona, con movimenti lenti e incerti immersi in un'atmosfera sospesa; di contro, nei Mondi si agisce in terza persona e il movimento é assai più fluido.
   Il gioco fa prevalere nettamente l'uso di armi bianche (quelle da fuoco sono poco potenti e soprattutto le munizioni non sono cumulabili), per altro favorisce anche le rapide e incruente fughe quando il player non é in vena di lottare. I nemici sono relativamente scarsi e facilmente evitabili, pure le canoniche boss-battle latitano. L'inventario é per la prima volta limitato a soli 10 slot (cui bisogna accedere in tempo reale, senza possibilità di mettere in pausa). Il gameplay incoraggia ritorni frequenti nell'appartamento, unico luogo dove é possibile riporre gli
item in eccesso e salvare i propri progressi. Elementi abituali del passato, come la radio e la torcia, compaiono in nuova inedita veste. La radio non é trasportabile e serve a segnalare la presenza di impalpabili spettri nel monolocale 302 durante la seconda metà del gioco, mentre la torcia é una "vera" torcia (un bastone con l'estremità in fiamme) e va usata solo in precisi e delicati frangenti.
  La grafica si allontana dal precedente fin troppo
flamboyant di Silent Hill 3 per assumere una tonalità più "realistica" e al contempo più grigia, sporca e malsana. Le locations hanno un aspetto sciatto e dimesso, quasi banale, "fotografato" sotto una luce fredda e livida che comunica l'idea di quotidianità degradata. I characters, anche quando fisicamente accattivanti, sembrano avere tutti la pelle grigia e intrisa di polvere e sudore. Pure in questo Silent Hill 4 richiama i film di Buttgereit e Cerdà e le loro scelte visuali "glossy", a prima vista poco spettacolari ma di fatto taglienti come un bisturi da chirurgo.
  Eccellente la score di un Akira Yamaoka ai suoi massimi.

 

   Analisi

   Non é difficile capire perché molti vecchi fans della franchise siano rimasi sconcertati da Silent Hill 4, al punto da rifiutare l’opera e bollarla come ‘orribile’ o, nel migliore dei casi, come snaturamento dell’autentico spirito della Collina Silente (qualunque cosa si intenda per “autentico spirito”...). Si é già detto che ogni capitolo di Silent Hill tende a basarsi su un sistema e un progetto differenti, tuttavia nei titoli passati sistema e progetto, anche se elaborati come vasti puzzle, erano di facile e immediata fruibilità. Silent Hill 4 invece é costituito da un continuo, quasi accanito, accostamento di ‘pezzi’ dalle caratteristiche doppie e opposte, sia sul piano ludico che su quello narrativo che su quello simbolico. Si percepisce ugualmente l'idea del puzzle, ma ogni volta che il player crede di aver trovato il bandolo della matassa é come se restasse con un osso di gomma lanciatogli per baloccarsi. Le varie tessere paiono appartenere a mosaici distinti. Nonostante gli sforzi, restano sempre buchi aperti. Il Team Silent per una volta sembra suggerire che la ricerca di un senso definitivo o di un’univoca chiave di lettura é vana. Dunque se si vuole realmente comprendere l’opera non bisogna sforzarsi di assemblare il puzzle, ma guardare alla figura stessa dell’enigma, al modo in cui si pone.
  In altre parole, il segreto di
Silent Hill 4 va cercato nelle sue generalità, nella semplice descrizione degli elementi che lo compongono, non nelle diverse ipotesi interpretative più o meno brillanti ideate da certa critica. Ipotesi che sono, peraltro, tutte “vere”: c’é quella sulla visione come fine ultimo e assoluto dell’esistenza umana, un po’ come nel fondamentale film L’occhio che uccide di Michael Powell (Peeping Tom, 1960); quella sull’indagine nel sottobosco delle perversioni erotiche, anche per via dell’estetica visuale che richiama le opere ‘necrofile’ di Buttgereit e Cerdà; quella metalinguistica (la prigione in cui é rinchiuso Henry metafora dello spazio virtuale circoscritto in cui il player é obbligato a compiere azioni preordinate dai programmatori); quella antropologica (le location costruite secondo i dettami architettonici castranti paventati da Michel Foucault in Sorvegliare e punire); quella, più ovvia, che legge semplicemente il gioco come concentrato di archetipi e citazioni del genere horror.
  Tutte vere, dicevamo, le ipotesi. Come ‘tutti’ gli elementi sembrano presenti all'interno di questo videogame: visuale in prima e in terza persona, stasi e itinerario dinamico, combattimenti feroci all'arma bianca e fughe incruente, ritmi talora dilatatissimi e talora convulsi, casa (in teoria confortevole) e labirinto (in teoria ostile), personaggi costruiti per sottrazione o per eccesso… Soprattutto, sembrano presenti 'tutti' i generi sedimentati nell'immaginario collettivo. Infatti mentre negli altri capitoli della franchise a mediare era essenzialmente il melodramma di stampo romanticheggiante (mitopoietico melodramma d’amore in
Silent Hill 2, superficiale melodramma di vendetta in Silent Hill 3), in Silent Hill 4 si percepiscono tracce di tutti i generi classici, tranne il western e il musical. Ci sono lo psycho-thriller, la commedia (intesa sia come black comedy che come farsa triviale - si pensi alle pazienti dell’ospedale che si esprimono tramite rutti!), il dramma sentimentale piccolo-borghese, il melò, il giallo investigativo e naturalmente l’horror. Nessun genere ha un ruolo privilegiato rispetto agli altri -nemmeno quando ‘sembra’ averlo- e tuttavia l’opera non é affatto un confuso minestrone e si mantiene stilisticamente compatta dall’inizio alla fine (l’omogeneità non é mai stata messa in dubbio neanche dai detrattori più feroci).
  Di fatto la ‘colpa’ di
Silent Hill 4, quella che i vecchi fans non riescono a perdonare, é l’intenzionale rifiuto di far prevalere il melodramma. L’intreccio pare a prima vista basarsi sulla tipica situazione feuilletonesca della ‘coppia in fuga’, con tanto di eroe e damsel-in-distress perseguitati da un assassino, ma é solo apparenza. Il melò non assume mai una posizione privilegiata e resta solo ‘uno’ degli ingredienti, uno tra i tanti. Henry non ha parole d’amore o d’affetto per Eileen, i suoi sentimenti non vanno oltre una generica preoccupazione (“Spero che Eileen stia bene...”). Idem per Eileen, la quale manifesta molto più interesse per il suo persecutore che non per il compagno di sventura.
  D’altra parte il personaggio di Henry in sé ha pochissimo di romantico essendo costruito per
sottrazione, smorzando le tinte anziché enfatizzandole come avveniva per James, Harry e Heather. Nei frangenti in cui il classico personaggio da feuilleton si lancerebbe in dichiarazioni roboanti o one-liner ad effetto, lui si mantiene laconico e pensieroso. Non si tratta di caratterizzazione superficiale e a ben vedere nemmeno di schematicità quanto piuttosto di una scelta coerente con il "progetto" dell'opera, che rifugge ogni standardizzazione pseudo-romantica. Non a caso le azioni di Henry sono guidate dalla ragione e non dal sentimento. Egli agisce esclusivamente per lucido spirito di autoconservazione e segue la strada che gli si apre davanti solo perché questa é “razionalmente” l’unica che potrebbe fargli ottenere l’agognata libertà. Lo sviluppo ludico/narrativo é costruito sulla progressiva presa di coscienza di Henry, che comprende pian piano di essere sempre stato una pedina mossa da altri in un “gioco” di cui all’inizio non conosceva il meccanismo. La vittoria nello showdown finale é il trionfo del calcolo e della lucidità, non del sentimento, giacché Henry lotta con la consapevolezza di chi ha capito le regole e sa che per vincere conviene applicare al meglio le regole anziché tentare di sovvertirle (mentre i vari James, Harry e Heather reagivano rovesciando furiosamente la scacchiera). Si può ben comprendere come in quest’ottica ci sia pochissimo spazio per un umanismo e uno pseudo-romanticismo che veicolino emozioni da feuilleton. Al limite, se proprio di romanticismo si vuol parlare, bisognerebbe farlo tirando in ballo Edgar Allan Poe, autore poco frequentato dai media di intrattenimento attuali, in cui il sentimento non offusca mai la razionalità (vd. Il pozzo e il pendolo, dove il protagonista si salva dalle trappole mortali grazie a calcoli lucidissimi, non certo cedendo alle emozioni) e in cui l’immagine del “labirinto” si può sempre ricondurre a un preciso artefice.
  Nemmeno il genere horror - nonostante il gioco rimanga un indubbio
survival horror - assume il ruolo di mediatore. La successione di delitti nella prima metà, con tanto di rigoroso body-count, pare ricalcare slasher movie tipo Halloween, Venerdì 13 o Nightmare, ma chiunque abbia un’infarinatura di queste saghe filmiche sa benissimo che in esse il serial-killer ‘deve’ essere posto sotto i riflettori, in quanto ‘deve’ diventare un’icona (é la ricetta stessa del genere a pretenderlo). In Silent Hill 4, invece, il killer é costantemente nell’ombra, e anche quando nella seconda metà si decide a mostrarsi non va oltre poche (benché significative) apparizioni. La formula dell’horror viene perciò quasi oscurata da quella del thriller-poliziesco, che però a sua volta non prevale e non media.
  I numerosi generi si intrecciano senza contraddizioni e senza intaccare l’unitarietà dell’opera, ma obbligano l’utente a un continuo e intenso sforzo intellettuale nel tentativo di trovare una cifra stilistica dominante. Purtroppo non si può negare che questa costruzione incredibilmente sofisticata si comunichi a fatica, al punto che anche il player più sensibile rischia di trovare l’opera ‘fredda’. E tuttavia questa freddezza qualcosa trasmette, perché se é vero che non c’é traccia di amore melodrammatico in
Silent Hill 4 é altrettanto vero che si percepisce il rimpianto per la sua assenza. Sullo sforzo sostenuto dal player torneremo in seguito.
  Dal punto di vista del gameplay la presenza di elementi doppi e opposti é ancora più marcata. All’interno dell’appartamento 302 la visuale é sempre in prima persona, ma il gioco non ha nulla a che spartire coi
first person shooter, nella room non si spara un solo colpo. Ci sono al limite più analogie con adventure games tipo Myst, se non fosse che l’appartamento é privo anche di veri e propri indovinelli. A ben vedere la sua funzione é soprattutto ambientale, con lo scopo di avvicinare gradualmente il player a una condizione in cui il ‘naturalismo’ di partenza (realtà quotidiana sciatta e dimessa anche se cupa) si trasfigura e rende impossibile distinguere ciò che é vero da ciò che é frutto di un incubo. Forse é proprio questo l’orrore più grande, se Cartesio dichiarava di essere terrorizzato dall'idea di non saper discernere tra realtà e sogno.
  Alla visuale in prima persona nell’appartamento si affianca il gameplay in terza persona nei Mondi, in apparenza più canonico: si combattono mostri all’arma bianca e si risolvono enigmi, con un ritmo spesso molto concitato. Però il gioco non imita
hack & slash tipo Devil May Cry visto che i nemici sono facilmente evitabili e i combattimenti obbligati si contano sulle dita di una mano (persino le boss-battle sono soltanto due). Alla ‘pulizia’ di una rapida fuga si accompagnano combattimenti feroci e ‘sporchi’ a base di asce arrugginite e badili, allo scorrere fluido di luoghi e tempi nei labirintici Mondi si oppone il monolocale sigillato in cui l’atmosfera e gli istanti sembrano congelati. La compresenza di elementi doppi e opposti é incessante. I Mondi stessi prendono vita (dalla mente del serial killer) recando già i semi della loro consunzione. In pratica nascono già decomposti, vivi e morti al tempo stesso.
  In quell’enorme contenitore che é
Silent Hill 4 il Bianco e il Nero riescono a convivere, a intersecarsi, a sovrapporsi senza mai miscelarsi e diventare Grigio. Il monolocale é contenente e insieme contenuto, come una bottiglia di Klein rinchiusa in se stessa, oppure come un nastro di Moebius dove le due facce sono di fatto una sola. I Mondi visitati da Henry, del resto, altro non sono che una variante di quell’interno onnicomprensivo che é l’appartamento. Il Mondo della Foresta, per esempio, é un falso esterno (non ha vie d’uscita e rimanda solo a se stesso) anche dal punto di vista concettuale: quando la Wish House al suo centro si autodistrugge un istante dopo che Henry vi é entrato, il player prova inevitabilmente frustrazione vedendo sfumare sotto gli occhi l’agognato obiettivo; in realtà é solo l’ennesimo scherzo giocato al tentativo di trovare un punto di riferimento definitivo, un’impossibile meta assoluta.
 
Affine a un nastro di Moebius é pure l’itinerario compiuto da Henry (e dal player). Nella seconda metà del gioco, quando si ritrova a ripercorrere gli stessi Mondi che aveva creduto di lasciarsi progressivamente alle spalle, Henry scopre che la sua realtà non é mai stata una successione di luoghi e di spazi, ma ha sempre avuto una forma unica anche se oscillante. Come una spirale che si avvita su se stessa e tende a un punto unico, un punto morto, senza però raggiungerlo definitivamente.
 
Oltre allo spazio, anche il tempo conosce la medesima tensione verso l’annullamento. Dopo la successione di delitti nella prima metà scandita dagli annunci alla radio (radio che peraltro si limita a diffondere e non comunica) tutto si ferma e si raggela. L’appartamento assume sempre di più le caratteristiche di una camera mortuaria, in cui però qualcosa si ostina a pulsare (gli impalpabili poltergeist), come le cellule impazzite di un tumore o lo sgorgare del sangue da una vena squarciata. Gli stessi concetti di “casa” e “labirinto”, pur mantenendosi distinti, si rivelano contigui come le facciate di un unico libro. E’ solo lo schematismo di partenza “casa confortevole / labirinto ostile” a oscillare in un’altra direzione, giacché nella seconda metà del gioco la casa vampirizza le energie di Henry, mentre nel labirinto nonostante tutto é possibile combattere e salvarsi la vita.
  Questa ostinata
oscillazione che intercorre tra un qualsiasi elemento e il suo doppio/contrario marca l’intera l’opera. Quanto più sembra ‘naturale’, tanto più sospinge il gioco verso uno sbandamento generalizzato, un’assenza di mediazione e di univocità che non viene mai riscattata dalla centralità del personaggio-Henry. Proprio questa sembra essere la più genuina natura di Silent Hill 4: il contenere tutte le realtà del mondo/inferno come una sorta di laboratorio alchemico in perenne attività, capace di dare vita a sensazioni, immagini e azioni interattive per poi farle morire e successivamente rigenerarle di nuovo. Per di più a questo ribollente agitarsi verso l’esterno si accompagna un’implosione verso l’interno (la spirale che sprofonda, il cadavere mummificato sepolto nell’appartamento...).
  La tensione esterno/interno non é una novità nel mondo dei survival-horror. C’era già il precedente di
Hellnight (Atlus 1999, per PSX) dove all’ansia del player di trovare una via di fuga faceva seguito uno sprofondamento in labirinti sempre più indefinibili e astratti, eppure “reali”. Proprio il confronto con Hellnight può aiutarci a comprendere l’intima natura di Silent Hill 4. In quel videogioco il labirinto si faceva progressivamente immagine del cervello, anche in senso anatomico, e il cervello rimandava alla mente, sia conscia che inconscia. E’ dunque la “mente” il bandolo della matassa. Non la mente del personaggio Henry, si intende, e neppure la mente del serial-killer, bensì la mente del player. Di qualsiasi player! Doppi e opposti, casa e labirinto formano insieme un gioco oscillante e frenetico che si proclama “mente”, con le sue ‘camere’ di immagini, informazioni, memorie e sensazioni immagazzinate nelle cellule/stanze e sinapsi/corridoi.
  Ma se
Silent Hill 4 rimanda davvero alla mente di chiunque affronti il gioco, allora il player é obbligato ad assumere un ruolo perennemente attivo, dove per “attivo” si intende l’esatto opposto di chi si rilassa in poltrona godendosi “passivamente” un intreccio melodrammatico con personaggi tradizionali che stimolano commozione e sentimenti a comando. Silent Hill 4 é in un certo senso l’apoteosi del videoluddismo e dell’interattività. Il suo player ideale non può limitarsi a (inter)agire premendo levette e pulsanti, ma deve eseguire un continuo lavoro mentale per operare la mediazione del meccanismo, non avendo questo uno sbocco definitivo. Egli deve cercare nella propria mente le memorie, immagini e sensazioni più affini a quelle evocate dallo schermo in modo da dipanare la matassa ed elaborare la sua chiave interpretativa personale. Perciò le ipotesi sono potenzialmente tutte “vere”. E perciò la reazione fredda del grande pubblico é forse inevitabile. Rispetto al melodramma classico di Silent Hill 2 e al suo raccontare con intensità una “bella e triste storia”, Silent Hill 4 é decisamente più sofisticato e intellettuale. Non offre emozioni e commozioni a buon mercato, né spaventi improvvisi che facciano balzare dalla sedia, né un’artisticità evidente che lasci il sapore della provocazione intellettuale. Troppo poco nazionalpopolare, non ha avuto veri eredi, pur suscitando innumerevoli spunti epidermici nell’industria videoludica (vd. l’uso quasi esclusivo di armi bianche). I videogiochi posteriori che si sono maggiormente impegnati a inseguire il Mito dell’opera d’arte totale, tipo il fin troppo strombazzato Metal Gear Solid 4 di Hideo Kojima (a parere di chi scrive, sopravvalutatissimo), costituiscono in realtà una regressione verso schemi narrativi ottocenteschi, puro feuilleton al quadrato. Alla strabordante ma dispersiva eiaculazione kojimiana Silent Hill 4 risponde generando “feti” teoretici con risultati assai più intellettualmente stimolanti anche se meno immediati.
  La sola vera pecca di
Silent Hill 4 é l’ingenuità con cui si affida alla capacità di ogni player di elaborare letture “attive” e personali. In un’epoca in cui domina la mentalità escapista e al videogioco si richiede puro e semplice divertimento (ci si può divertire anche commuovendosi a colpi di melodramma), la sfida era probabilmente persa in partenza. D’altra parte un’opera che si rifà alla “mente” può rimandare a tutto, anche all’incomprensione, anche al fraintendimento. Perciò per molti il titolo risulta ‘noioso’ o ‘ridicolo’, mentre altri lo giudicano ‘sublime’, ‘tremendo’ o anche solo ‘affascinante’. Ma a questo punto conviene fermarsi e lasciare a Silent Hill 4 il suo ruolo di impresa folle e impossibile, impresa forse persa con la possibilità di lettura ma vinta per il solo fatto di essere stata tentata.
  Il capitolo successivo (un prequel) é
Silent Hill: Origins.

Versioni

Il gioco é per PlayStation 2, Xbox e PC. Non si segnalano differenze di rilievo tra le diverse versioni.

 

- Sony PlayStation 2 (2004)


- Windows PC (2004)


- Microsoft Xbox (2004)


- incluso nel cofanetto Silent Hill Collection per Sony PlayStation 2 (2006).

 

   Marco "Night Walker" Montericcio                            

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